Cinquanta anni fa o poco più, gli emigranti eravamo noi, il popolo del Sud (e in modo diverso, ma lo siamo ancora).
Il posto fisso, l’industria: negli anni ’60 le donne del Piemonte aspiravano a questo quando andavano alla ricerca del marito perfetto.
Due necessità che si incontrano e si scontrano. E’ stata una “emigrazione salvifica” che ha consentito alle Langhe di ripopolare le campagne e dare nuova vita a quelle terre.
In Piemonte, dei nomi e dei cognomi calabresi si sa poco e spesso nulla, ma dietro ai tanti produttori di Barolo o cercatori di tartufo tante sono le donne della mia terra.
Donne povere, spesso costrette dai genitori a lasciare la propria terra per andare a sposarsi nelle Langhe con un uomo incontrato solo una volta, per pochi minuti.
I sogni di queste giovani donne a volte trovavano salvezza, altre volte si infrangevano in questi matrimoni combinati andando incontro a vite di lavoro e sacrifici. In qualche modo, però, riuscivano a trovare la loro nicchia e a vivere senza lamentele.
Parlo di realtà di 50 anni fa che ci obbligano a riflettere su come sia cambiata la nostra cultura in uno schiocco di dita.
La stessa nostra storia possiamo rivederla oggi con i nuovi emigranti, i popoli del Medio Oriente.
Destino beffardo o semplicemente specchio di quello che era, oggi la Calabria abbraccia le persone che lasciano la propria casa in cerca di una nuova fortuna. Le raccoglie dal mare terrorizzate e fa loro spazio.
Anche Riace, paesino dell’entroterra e teatro di tutto il libro, si trasforma da terra di emigrazione a rischio “desertificazione” a luogo di accoglienza.
In “Ti ho vista che ridevi” si trovano un susseguirsi di storie, di personaggi di ieri e di oggi, tutto a ricordarci che di fondo, abbiamo tutti una storia da emigranti.
Il caminetto acceso, un bicchiere di vino, il silenzio intorno e ho macinato le pagine di questo libro fino all’ultima parola senza mai stancarmi (e staccarmi). 200 pagine che scorrono in fretta, ma lasciano il segno. Chiudo il libro e inizio a riflettere.